Turrivalignani

Nelle adiacenze del monte Maiella, a circa 23 km da Chieti, sull'alto di una collina brecciosa, tagliata a picco, si eleva, a 310 metri sul livello del mare, il Comune di Turrivalignani, provincia di Pescara, dalla quale dista circa 35 km.
Confinante con: Manoppello, Lettomanoppello, il fiume Lavino, il fiume Pescara e Scafa.

La storia

In passato Turrivalignani era un nome plurimo, esso era scritto Turri-Valignani. Questo nome si riferisce a due tempi diversi.

Innanzitutto il nome Turri ha un'impronta latina e sembra che inizialmente il paese avesse questo nome, poi dal 1807 fu aggiunto il nome Valignani, quando il paese finì nelle mani dei baroni Valignani.

Il nome Turri sembra derivare dalla Turris latina,vocabolo con cui i romani designavano quella specie di ordine di battaglia in cui l'esercito era disposto in forma di colonna bislunga quadrangolare, quindi molto probabilmente il nome originario del paese era proprio Turris, che col passare del tempo venne cambiato in Turri.
Una seconda tesi giustifica il nome con la posizione geografica (elevata di 310 metri sul livello del mare) e la conformazione della collina, e non per ricordare qualche battaglia armata, come il nome antico Turris lascerebbe pensare.

Nel IX secolo sotto la contea di Chieti conobbe la dominazione longobarda; nel X secolo il controllo del castello di Turri passò all'Abbazia di San Clemente a Casauria.
Agli inizi del '500 Turri entrò nel regio demanio e Federico II d'Aragona vendette il castello alla famiglia dei Valignani, feudatari di Bolognano, che conservarono il possedimento fino all'abolizione del feudalesimo.
Nel 1807 venne aggiunto al nome di Turri, anche quello di Valignani in ricordo della dominazione.
Solo nel 1900 il paese ottenne l'autonomia.
 

Il ritrovamento sul territorio di Turrivalignani, nella prima metà dell’800, di monete in argento e un arca in un blocco di calcare durissimo, che conteneva i resti di un cadavere col capo adagiato in un apposito incavo, due vasi fittili e un'elsa di spada, sono la testimoninza del passaggio della cultura romana.

 

Oggi a Turrivalignani esiste un'area industriale molto vasta nella contrada Pescarina, lungo l'attuale Tiburtina Valeria.

 

IL SARCOFAGO DI GIULIA

Nel 1836 fu annunciato sul giornale Abruzzese la scoperta fatta in Turrivalignani di una cassa sepolcrale con la semplice epigrafe IULIA FILIA IULII CAESARIS.
Questo sarcofago consisteva in un blocco di durissimo calcare, munito di pesante coperchio, e misurava m 1,40 di lunghezza, 0,78 di larghezza, 0,55 di altezza, 0,09 di spessore. Si crede che esso fosse destinato ad occupare un angolo della cella sepolcrale, in cui doveva trovarsi deposto. Esso conteneva, oltre ai resti di un cadavere col capo adagiato sull'apposito incavo, due vasi fittili.
 

Ulteriori informazioni riportata anche nel libro di Rocco Mammarella pubblicato nel 2002

"Curiosità storiche d'Abruzzo partendo da Turrivalignani"

dal 17 Marzo 2008 non possono essere pubblicate in quanto tale cittadino onorario si è riservato i diritti d'autore nei confronti della Proloco di Turrivalignani.

 

Usi, costumi, tradizioni e folklore

v      A Turrivalignani fino a qualche decennio fa, era usanza nei matrimoni portare la biancheria della sposa il giovedì prima della cerimonia religiosa. Quando non vi erano le automobili, si trasportava il corredo con il carro  trainato dalle mucche. Esse erano rigorosamente adornate con fazzoletti bianchi legati alle corna, a simboleggiare la verginità della sposa. Una volta scaricato il corredo, si mostrava con orgoglio alla futura suocera e ai futuri parenti e si “rifaceva il letto da sposa”. Naturalmente erano gli altri che provvedevano all’operazione! La sposa non poteva toccare nemmeno un lenzuolo, perché avrebbe portato sfortuna al suo futuro matrimonio.

v     A carnevale invece, a Turrivalignani, anticamente si svolgeva una rappresentazione teatrale scritta e diretta da Enrico Canzano, che fu anche sindaco del comune dal  1914  al  1926 e Podestà dal 1926 al 1930 .  Raccontano gli anziani che quello era un appuntamento al quale nessuno rinunciava. Si svolgeva nella piazza del paese, tutti in costume e, fin dal giorno prima  un altro giovane del luogo, Giovanni Canzano, andava in giro per il paese e per le contrade a cavallo di un asino e con una tromba, prima suonava per farsi sentire e dopo a gran voce annunciava ai cittadini l’ora e il giorno in cui avrebbero messo in scena il teatro. Ovviamente lo udivano fino alla contrada Pescarina e anche da Scafa e accorrevano numerosi. Erano rappresentazioni di vita quotidiana, molto divertenti e la gente rideva di gusto. Qualche anziano  ricorda ancora alcuni passaggi di quei versi scritti tutti in rima, come ad esempio quello di un padre che precisava: “all fije   lu pan’ non jele facc’ mancà, jele mett avt che non ce po’ arrivà…(ai miei figli il pane non glielo faccio mancare, glielo metto in alto che non ci possono arrivare) !!   

Prodotti tipici

I prodotti tipici dell’agricoltura del territorio turrese sono: il vino locale, l’ottimo olio d’oliva D.O.P.che nel 2006 e nel 2007 ha ricevuto il primo premio in un  concorso nazionale di assaggio olio d’oliva, tenutosi in Trentino Alto Adige. Il panel di degustazione era composto da ricercatori dell’Istituto di S. Michele all’Adige e da alcuni enologi dell’Università degli Studi di Trento, Piacenza e Statale di Milano in collaborazione con l’azienda agricola biologica “Molino dei Lessi”, certificata da A.I.A.B., ora ICEA;  il latte di mucca e di pecora, con relativi formaggi, nonché carni nostrane di maiale, vitello, agnello e pollami, che si possono acquistare presso le varie aziende agricole.

Altri prodotti tipici artigianali sono gli insaccati di suino e la porchetta che si possono acquistare presso i punti ristoro di Agostino Di Nardo in C.da Tascone e la macelleria di Bongrazio Stefania in Via Pescarina.

Cucina tipica

Libretto di fichi secchi

Il libretto si presenta come un pacchetto rettangolare avvolto con carta argentata, il dolce va disposto in apposite formelle, e poi pressato con un “torchietto”, spesso di antica fattura, e spolverato con lo zucchero a velo. Dopo qualche ora ogni libretto viene avvolto con carta argentata, affinché non si secchi. I “libretti ” possono conservarsi a lungo. Parecchi anni fa, quando il “torchietto” non era utilizzato e diffuso, il dolce veniva assemblato e pressato con le mani e la forma che assumevano era affusolata; per avvolgerli si usavano, allora, foglie di fico.

Ingredienti:

Fichi secchi: 1 kg
Cioccolato fondente: 160 g
Mandorle: 250 g
Zucchero: 80 g
Cedro candito: 100 g
Cacao: 400 g
Cannella: q.b.

Vaniglia: q.b.
Zucchero a velo
Buccia di limone grattugiata

FASI DI PROCESSO
Tritare grossolanamente le mandorle, il cedro e il cioccolato
Mescolare a tutti gli altri ingredienti, escluso i fichi.
Formare cinque strati: tre con i soli fichi secchi, due con gli altri ingredienti, alternando gli uni agli altri.
Disposizione in apposite formelle
Pressatura con “torchietto” (tradizionalmente a mano)
Spolverare con lo zucchero a velo.
Lasciare in sosta per alcune ore
Avvolgere ogni libretto con carta argentata

 

I Frascarelli:

Ingredienti: farina, acqua.

Spargere della farina su una spianatoia, spruzzare dell’acqua con le dita o con una scopetta di vimini sopra la farina e muovere il tutto con le mani. (anticamente si usava un ramoscello o frasca, da cui deriva il nome frascarelli).  Prendere un setaccio e passare la farina spruzzata dall’acqua, fino a trattenere dei granuli (palline) e togliere la farina in eccesso. Queste palline potranno essere cotte in acqua bollente salata e condite a piacere, o con sugo di pomodoro, o con aglio olio e peperoncino fritti, oppure in brodo di gallina.

 

La cipollata:

Ingredienti: cipolle, pancetta, olio extravergine d’oliva, pomodoro cotto, uovo, parmigiano, acqua e sale.

Soffriggere alcuni pezzetti di pancetta in olio d’oliva, aggiungere alcune cipolle precedentemente affettate e lavate, salare e cuocere a fuoco lento. A metà cottura aggiungere alcuni cucchiai di pomodoro cotto e un bicchiere di acqua e continuare la cottura. Infine, sbattere un uovo con parmigiano grattugiato e unirlo alla minestra per alcuni minuti.

 

Lu cif e ciaf

Questo piatto è tradizione  cucinarlo quando si ammazza il maiale in casa.

Appena viene spezzato il maiale, si prende la carne fresca di punte di petto e un po’ di pancetta, si taglia a pezzetti e si mette a cuocere in una padella di ferro (la ferzora), con aglio, olio, alloro, un po’ di rosmarino, peperone secco e vino bianco. A fine cottura, si serve a tavola con  patate precedentemente fritte e unite nella padella della carne.

 

Il Tarallo di Pasqua:

Ingredienti: 3 uova, 3 cucchiai di zucchero, 3 cucchiaio d’olio d’oliva, farina.

Sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere l’olio d’oliva e amalgamare, infine aggiungere la farina fino ad ottenere un impasto omogeneo, abbastanza duro  per dare forma ai taralli. Lessare i taralli in acqua bollente per alcuni minuti. Toglierli dall’acqua, con un coltello aprirli esternamente e passarli al forno ad alta temperatura in maniera tale che si aprano e si coloriscano.

 

Altri piatti tipici di Turrivalignani sono le zuppe di legumi e precisamente “la cicerchia” e “la favetta”.

 

La cicerchia  è un legume ormai dimenticato. E’ una pianta annuale  e contiene nei suoi bacelli semi poco più grandi dei piselli, ma di forma più schiacciata. Si trovano solo secche e, prima di cuocerle, vanno tenute in ammollo per una notte intera. Bisogna buttare l’acqua dell’ammollo prima di cucinarle, perché pare che contenga sostanze nocive per il sistema nervoso.

Vengono lessate con acqua e sale per alcune ore. A parte si prepara un soffritto di pancetta, due cucchiai di salsa di pomodoro, sale e pepe. Si scola la cicerchia e si unisce al soffritto, si aggiunge nuova acqua bollente e si continua a cuocere per circa dieci minuti. Si serve con un filo d’olio d’oliva e crostini di pane tostato.

 

La favetta è destinata all’alimentazione del bestiame, sia per la produzione di granella secca che per la produzione di foraggio. Anticamente veniva utilizzata moltissimo come alimento, poichè se ne trovava in grande quantità. Anche in questo caso si conservavano secche e venivano cucinate come la cicerchia, tenendole prima in ammollo per una notte e poi lessate e condite con gli ingredienti di cui sopra.